Incontro per gli studenti delle classi quinte con Paolo Silva, figlio di una vittima, e Fortunato Zinni, un sopravvissuto alla strage.
Corre l’anno 1969, un anno pieno di proteste, manifestazioni di piazza con scene di violenza e scontri tra manifestanti e polizia. Il 12 dicembre, in una giornata apparentemente come tante altre, in una Milano accesa dalla consueta frenesia prenatalizia, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana clienti che vanno e vengono. Poi, alle 16.30, un tremendo boato causato dall’esplosione di una bomba che causa la morte di 17 persone e 86 feriti.
Il 3 ottobre 2013, al largo delle coste di Lampedusa, ci fu un naufragio in cui persero la vita 368 migranti. Per questo il Comitato ha scelto proprio il 3 ottobre come data simbolica, per commemorare le vittime di quel naufragio e ricordare le migliaia di persone che regolarmente muoiono annegate nel Mar Mediterraneo o che restano bloccate ai confini d’Europa invece che essere accolte in sicurezza e inserite in percorsi di integrazione.
Più tardi, in quello stesso giorno altri tre attentati colpiscono Roma, mentre nei giorni successivi nuovamente a Milano viene posizionata una bomba che resta fortunatamente inesplosa.
La lunga ricerca dei colpevoli inizia. Per la polizia è colpa degli anarchici: cominciano perquisizioni e domande. Poi i nomi dei primi sospettati: Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda. Pinelli viene chiamato in questura per essere interrogato nell’ufficio del commissario Calabresi; egli però si suicida (almeno questa è l’ipotesi ufficiale) buttandosi dalla finestra. Per l’accaduto è poi incolpato il commissario stesso e ciò scatena odio verso Calabresi che viene ucciso a colpi di pistola davanti alla sua casa. Per quanto riguarda Valpreda, viene assolto nel 1972.
Le indagini continuano e il 1 gennaio 2001 a Milano, per i fatti di Piazza Fontana, vengono condannati tre uomini all’ergastolo, che vengono però assolti dopo tre anni. Ad oggi il caso é irrisolto, ancora nessun colpevole é stato individuato.
Il 17 dicembre, in aula magna «Paolo Borsellino», le classi quinte della nostra scuola, il Viganò di Merate, hanno potuto partecipare ad un incontro con due testimoni della strage: Paolo Silva e Fortunato Zinni.
Paolo Silva é il figlio di una delle vittime; suo padre, Carlo Silva nato nel 1898 e sopravvissuto alla Prima Guerra Mondiale e ai campi di concentramento in Germania. La famiglia possedeva un’azienda agricola in collaborazione con un caseificio e un’azienda americana di lubrificanti per l’agricoltura.
Il 12 dicembre Paolo accompagnò il padre in stazione a Lambrate, non sapendo che non lo avrebbe rivisto mai più. Alle ore 18, Paolo era in Galleria a Milano quando sentì le ambulanze, ma non si preoccupò; tornò a casa e scoprì della bomba: il suo primo pensiero andò a suo padre. Paolo andò in Piazza Fontana ma suo padre non risultava né tra i morti né tra i feriti. Si recò allora in questura e poi, con il fratello, andarono in obitorio. Li fecero entrare in una stanza con 13 vittime in condizioni disumane.Rimaneva una vittima da riconoscere: Carlo Silva.
Il 15 dicembre, giorno dei funerali a Piazza Duomo, c’erano 300.000 persone, «si sentiva il rumore del silenzio che come un mantello avvolgeva il tuo dolore e e la tua disperazione», ricorda Paolo Silva. Sono tangibili shock, dolore, rabbia, e la disperata richiesta di verità e certezza.
Fortunato Zinni, un ex impiegato della banca, nonostante fosse presente durante l’esplosione, riuscì a salvarsi. Da 53 anni egli va nelle scuole a raccontare la sua storia. Alle 16.30 del 12 dicembre, Zinni si allontanò dalla sua postazione e si avvicinò al tavolo sotto cui era posizionata la bomba, per assistere ai contratti, quando un collega lo chiamò. Egli si appoggiò ad una vetrata e poi, un boato. Il silenzio e il buio. Cercò di uscire dall’edificio, i telefoni squillavano, si avvicinò e rispose ad uno di essi, era la questura che voleva sapere cosa fosse successo. Zinni iniziò a descrivere cosa riusciva a vedere, ma poi vide un braccio senza il resto del corpo ed iniziò a tremare, era sotto shock e pregò la questura di lasciarlo andare. Era preso dalla disperazione, l’ultima cosa che si ricorda fu quella di un uomo che gli chiese aiuto. Dopo l’esplosione, il direttore gli affidò il compito di scrivere tutti i nomi delle vittime poiché era l’unico che conosceva tutti i clienti grazie alla sua posizione nell’azienda.
Zinni, finito il suo racconto, sottolinea l’importanza della memoria poiché è grazie ad essa che noi possiamo conoscere questa storia. «Ci sono storie che vale la pena raccontare e Piazza Fontana non è una data a caso, è un buco nero lasciato da quella bomba», conclude Zinni.
In seguito alle testimonianze, c’è stata data l’opportunità di intervistare i protagonisti dell’incontro.
Perché secondo lei é ancora importante parlare di questo fatto?
ZINNI: «É importante parlarne per costruire una memoria collettiva, così da non affidarsi solo ai ricordi individuali. Per costruire una memoria collettiva si ricorre agli storici i quali stendono documenti e scrivono i libri di storia; nel caso di Piazza Fontana, questo non é successo, é stato imposto il segreto politico militare e gli storici non hanno avuto la possibilità di accedere alla carte, allora sono stati sostituiti dalla magistratura che ha deciso di non condannare. La verità storica non spetta ai giudici, la storia spetta agli storici. Allora si é ricorso al racconto di chi c’era, dei testimoni e dei familiari che, attraverso incontri con le nuove generazioni, permettono di costruire una coscienza riguardo a cosa é successo. Tutto ciò costituisce la memoria, la quale é un pezzo di storia».
Cosa prova ripensando all’accaduto?
ZINNI: «I miei ricordi personali non hanno avuto neanche il tempo di metabolizzare. Io non ho perso familiari come Paolo, io ho perso 17 amici, li conoscevo, é come se avessi perso un caro parente o un amico. Come fai a dimenticarli? Nonostante io non abbia una grande memoria non si dimenticano; io ho avuto il terribile privilegio di non perdere il ricordo personale di queste persone che non hanno avuto giustizia».
Secondo voi queste tensioni politiche possono ripresentarsi?
SILVA: «Speriamo di no, speriamo proprio di no, noi malgrado tutto siamo estremamente solari e positivi, non degli automi perché io ogni volta mi commuovo dato che per noi é sempre tema di rivisitazione, anche per Fortunato che ha assistito all’esplosione e ha visto i resti dei nostri familiari e ha dovuto scrivere l’elenco dei nomi e cognomi delle vittime».
Per quanto riguarda la giustizia e la politica italiana é cambiato qualcosa ad oggi?
ZINNI: «No, é peggiorata, e di molto anche. Il sabato mattina quando sono andato con il direttore della banca per chiedere cosa avrebbero restituito alla banca, il procuratore capo ci rispose che potevano già iniziare a ripulire tutto e che avremmo potuto riaprire il lunedì mattina, ci disse che stavano arrestando i colpevoli e che erano degli anarchici. Al popolo era stato dato un capro espiatorio, che si rivelò falso poiché gli anarchici non c’entravano nulla, era una menzogna. Ad oggi solo un politico, l’attuale ministro degli interni, ha parlato di questa vicenda, dicendo “mi congratulo con le forze dell’ordine e con lo Stato per aver dato il 12 dicembre del 1969 una pronta e tempestiva risposta ai terroristi”: noi stiamo ancora aspettando questa pronta e tempestiva risposta, ecco perché la giustizia é peggio e non migliorata perché le schegge di quelle bombe continuano ancora a colpire. Quando la giustizia italiana ha iniziato i processi, ogni tanto li rimandava (il primo processo é iniziato solo otto anni dopo l’attentato), dovevano giudicare “i fascisti e gli anarchici” alimentando politicamente lo scontro tra gli estremisti deresponsabilizzando le forze politiche moderate, come se non fossero anch’esse in fondo responsabili».
SILVA: «Le anime dei nostri cari non hanno ancora avuto la pace che si meritano, ed é anche importante dire che in quella banca c’era tutta l’Italia: Piazza Fontana non è solo una questione milanese, con la strage c’era la ferma intenzione di scuotere l’apparato democratico di un Paese intero».