Nuova edizione del “Campo arance”, l’ esperienza immersiva proposta dal prof. Fabio Carlini

Campo di arance

“In quell’aranceto, ho lasciato un pezzettino del mio cuore”

Maria, studentessa di 5 C, ci racconta la sua esperienza in Calabria

La mia seconda esperienza in Calabria, al campo di arance, si è svolta tra il 4 e il 9 dicembre 2024.
Tutto è iniziato due anni fa, quando una mia compagna di classe ci raccontò la sua esperienza: rimasi incantata dalle sue parole e decisi di imitarla.
Nel dicembre dello scorso anno, quindi, partii senza conoscere nessuno, completamente alla cieca, ignara di tutto ciò che il destino aveva in serbo per me.
Dal momento che possiedo uno spirito di adattamento innato, non ho avuto problemi nell’aranceto di Maida, dove fa freddo, il cibo non è quello di una cucina stellata e l’igiene lascia a desiderare: insomma, si è in campagna, si è in tanti, ma ci si aiuta l’un l’altro.
Il primo anno la mia esperienza è stata decisamente meno consapevole, in quanto non avevo ben chiari i motivi per i quali mi trovassi lì.
Semplicemente, lavoravo, socializzavo, mi divertivo, finché un giorno, Fabio Carlini,
docente di IRC dell’Istituto, del quale, al tempo, temevo anche solo il nome, mi propose di
continuare a lavorare con lui anche dopo il “Campo arance”.
Io accettai, e da lì cominciò la mia esperienza nel gruppo Skhull.
Piano piano trovai una risposta alle mie domande e iniziai ad organizzare i miei impegni, pur
di lavorare con il gruppo tutte le settimane.
Intanto, i mesi passavano, e il “Campo arance 2024” si avvicinava: io non aspettavo altro.
Purtroppo, però, nel frattempo, il professor Carlini, ebbe un terribile incidente stradale, perciò
non riuscì a pubblicizzare adeguatamente la sua iniziativa presso gli studenti del Viganò.
Per questo motivo, lo scorso dicembre, i partecipanti sono stati pochi: abbiamo faticato a
riempire un pullman!
Nonostante questo, il detto “Meglio pochi, ma buoni” in questa occasione si è rivelato
veritiero: abbiamo riempito tre TIR di arance, come l’anno scorso, nonostante fossimo
numericamente di meno.
Quest’anno, non ho fatto tante nuove amicizie, ma ho approfondito i rapporti già esistenti:
molti partecipanti li conoscevo già, altri li avevo solo intravisti nei corridoi. Grazie al mio
carattere estroverso, tuttavia, sono riuscita a mettere tutti a proprio agio.

Ma com’è una giornata tipica all’aranceto?

Per chi lo desidera, si comincia alle 6:30 con la “meditazione”, ovvero un momento di
preghiera per iniziare al meglio la giornata; subito dopo la colazione, ci si divide in gruppi e si
vanno a raccogliere le arance.
Dal momento che ero tra i veterani, avevo il compito di guidare un gruppo, incarico che ho
portato avanti molto volentieri, poiché penso di avere spiccate qualità di leadership.
Ogni giorno il mio gruppo era formato da individui diversi, ma sempre gran lavoratori, quindi
non ho fatto fatica nel mio ruolo. Il nostro compito, inoltre, era piuttosto semplice: ripulire gli
alberi fino all’ultima arancia, posizionare i frutti nelle cassette, per poi riporre queste ultime
sul trattore.
Questa era una sorta di catena di montaggio, che ci permetteva di lavorare bene fino a
quando il cielo non si scuriva; di seguito, dopo una merenda veloce per scaldarci, si passava
alla fase successiva, ovvero l’incassettamento.

L’incassettamento non è altro che il processo per confezionare le arance: all’aranceto
abbiamo un macchinario che, dopo una selezione effettuata da noi tra i frutti, li lava e li
asciuga. Dopo questa fase, le arance vengono confezionate nelle cassette di legno,
secondo un criterio ben preciso: quelle piccole sotto, poi quelle medie e infine uno strato di
arance grosse per sigillare.
Cercavo di alimentare sempre la competizione nel mio gruppo, facendo a gara a chi riusciva
a riempire il maggior numero di cassette.
Completato il lavoro, era prevista la doccia prima della cena e, infine, un momento di
riflessione tutti insieme, con un tema diverso per ogni sera.
La seconda sera, per esempio, abbiamo parlato di Padre Ugo.

Ma chi è il Padre Ugo?

È il sacerdote che ha fondato l’Operazione Mato Grosso,
associazione alla quale appartengo da un anno ormai.
Padre Ugo ha aiutato tanti ragazzi che non avevano una bussola, a causa del futuro incerto,
mandandoli in missione in America Latina.
Brasile, Perú, Bolivia ed Ecuador sono i luoghi dove ancora oggi i volontari del Mato Grosso
svolgono la loro missione.
A questo proposito, abbiamo ascoltato la testimonianza di Elia, un uomo robusto, alto, con
una folta barba bianca e un vocione simpatico. Elia vive in Perú, mentre la sua famiglia è in
Italia. Ha messo a disposizione casa sua ai più poveri, vive con loro e li ospita senza
chiedere nulla in cambio.
Vive con poco da quando ha diciotto anni: a quell’età, Elia aveva tante domande e nessuna
risposta. Padre Ugo l’ha preso per mano e mandato in missione, dandogli una ragione per
vivere.
Nel corso della serata, molti ragazzi hanno ascoltato attenti e hanno scoperto nuove
opportunità.
Quest’anno, tra una chiacchierata e l’altra durante la raccolta, ho risposto a domande
di ragazzi più piccoli di me, gli stessi quesiti che avevo io l’anno prima, come, ad esempio:
“Cosa fate esattamente voi del gruppo Skhull?”.
Mi sono sentita onorata di poter rispondere, spiegando che ci troviamo il giovedì pomeriggio,
a casa del prof. Carlini, dove ci organizziamo per svolgere lavori, come sgomberi, traslochi o
manutenzione giardini; poi ceniamo tutti insieme con le focacce avanzate, donate dal
panificio Tamandi.
Il bello di questi pomeriggi consiste nello stare insieme, per costruire un rapporto solido e
svolgere attività utili.
In conclusione, ritengo che l’obiettivo del “Campo arance” non sia solo raccogliere
soldi per i più poveri, ma anche proporre un’esperienza diversa agli studenti, per
spronarli poi ad entrare nel gruppo.
In fin dei conti, per me è stata un’esperienza forte e impegnativa, sicuramente non alla
portata di tutti: non tutti i ragazzi, infatti, hanno la forza di alzarsi alle sei del mattino per
andare a lavorare nei campi.
Dal momento che per il prossimo anno avrò altri programmi, non potrò partecipare al viaggio
in Calabria 2025; sicuramente, tuttavia, in quell’aranceto ho lasciato un pezzettino del mio
cuore.

Maria Cappucci

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