L’avventura di Stanisław Kowalski, sopravvissuto ad Auschwitz
La drammatica ed appassionante storia di un sopravvissuto ad Auschwitz raccontata dalla sua bisnipote, convinta come lui che la Memoria debba essere condivisa. Nella prima puntata, la descrizione del campo e l’inizio del viaggio di Stanisław, soldato polacco catturato dai tedeschi.
Oświęcim (in tedesco, Auschwitz)
Auschwitz è stato un vasto complesso di campi di concentramento e di sterminio situato nei pressi della cittadina polacca di Oświęcim (in tedesco chiamata Auschwitz). Fu soltanto uno dei numerosi campi costruiti durante l’occupazione tedesca della Polonia. Tra i più noti ricordiamo anche il campo di sterminio di Birkenau (Auschwitz II), situato a Birkenau (in polacco Brzezinka), il campo di lavoro di Monowitz (Auschwitz III), situato a Monowitz, (in polacco Monowice).
Auschwitz svolse un ruolo fondamentale nel progetto di “Soluzione finale della questione ebraica”, eufemismo con il quale i nazisti indicarono lo sterminio degli ebrei. Qui più di 70.000 persone, per lo più intellettuali polacchi e prigionieri di guerra sovietici, furono uccise nella camera a gas o morirono a causa delle impossibili condizioni di lavoro, per percosse, torture, malattie, fame, freddo, o perché vittime di criminali esperimenti medici. Venne sperimentato per la prima volta il gas Zyklon B, normalmente usato come antiparassitario, poi impiegato su vasta scala per il genocidio ebraico.
Auschwitz è stato costruito alla fine del giugno 1940 su un terreno in cui erano presenti vecchie caserme militari, riadattate da prigionieri politici polacchi provenienti da Tarnów. All’inizio era un complesso di circa 20 case in muratura. Successivamente, quando hanno portato i primi prigionieri, questi ultimi hanno cominciato a costruire altri blocchi e ad alzare il numero di piani delle costruzioni già esistenti. I lavori sono terminati circa a metà dell’anno 1942: di conseguenza, ciascuno di questi blocchi (chiamati Block) poteva contenere circa 700 prigionieri, ma questa cifra superava di molto il limite massimo, arrivando anche a contenere fino a 1200 prigionieri per ogni “blocco”, per ogni “baracca”.
I prigionieri dormivano sui pochi letti che c’erano, letti a castello di tre piani, ma essendo sovraffollati, la maggior parte dormiva praticamente per terra o sul fieno, siccome nei primi due anni dalla costruzione del campo non c’erano ancora i pavimenti.

Condizioni disumane e morti annunciate
Il mio bisnonno, che si chiamava Stanisław Kowalski, ha raccontato che spesso le persone soffrivano di diarrea, essendo il cibo somministrato per lo più liquido, e a volte capitava che non riuscissero a scendere in tempo dal loro letto e facevano i loro bisogni lì, sporcando i detenuti che avevano intorno e nel letto sottostante. Questo, oltre tutto, favoriva la proliferazione di parassiti e germi, che aggravavano le condizioni di salute dei prigionieri, già precarie.
Le disumane condizioni di lavoro e di igiene e le scarse razioni di cibo, causavano rapidamente la morte di numerosi prigionieri. Quelli impossibilitati a lavorare venivano uccisi immediatamente, mentre gli altri erano obbligati a lavorare ogni giorno per undici ore circa.
Inizialmente i prigionieri erano intellettuali e membri della resistenza polacca, ai quali più tardi si aggiunsero rigionieri politici, prigionieri di guerra e i cosiddetti “elementi asociali”, come omosessuali, prostitute, malati e in particolare gli ebrei.
Subito all’ingresso del campo troviamo la scritta “Arbeit macht frei” (“il lavoro rende liberi”), ideata dal comandante Höss e realizzata da Jan Liwackz, un dissidente politico polacco, che saldò la lettera “B” al contrario in segno di protesta, in quanto consapevole della vera funzione di Auschwitz.

Il Viaggio di Stanisław Kowalski e Józef Nowakowski
Il mio bisnonno fu un prigioniero ad Auschwitz. Stanisław nacque nel 1905, da genitori polacchi, che perse durante la Prima guerra mondiale. Egli è stato preso e portato ad Auschwitz all’inizio del 1941: aveva provato ad entrare nelle armate dei militari polacchi in Francia, ma durante il viaggio fu catturato e portato ad Auschwitz, insieme al suo amico Józef Nowakowski. Oltre a loro c’erano anche tanti altri militari.
La mia bisnonna ha raccontato a mia nonna che il viaggio affrontato da suo marito durò circa tre giorni, o almeno così è sembrato a lui.
I mezzi sui quali venivano trasportati i prigionieri erano treni merci sovraffollati, in cui ogni carrozza conteneva fino a 100 persone, con una media di 2.500 persone a convoglio, senza cibo, né acqua. Erano presenti anche molte donne e bambini, che erano i soggetti che perdevano più facilmente la vita a causa delle scarse condizioni igieniche. Stanisław ha raccontato che, di tanto in tanto, durante il tragitto, quando il treno si fermava per caricare altre persone, i prigionieri erano costretti a buttare fuori i cadaveri, per non far diffondere ulteriormente l’odore di putrefazione che proveniva da essi.
Inoltre i passeggeri di questi treni erano obbligati a fare i loro bisogni all’interno del convoglio, siccome i comandanti delle SS che li trasportavano non gli consentivano tappe per scendere.
Il vagone non aveva nemmeno dei finestrini, per cui non si riusciva a distinguere il giorno dalla notte e si viaggiava sempre al buio.

L’arrivo al campo di Auschwitz: Stanisław diventa il numero 29668
Quando il treno arrivò destinazione, il mio bisnonno e gli altri detenuti vennero accolti da un discorso di benvenuto dell’ufficiale militare delle SS Karl Fritzsch. Egli era colui che disponeva gli ordini agli altri ufficiali nazisti.
I prigionieri venivano poi divisi in uomini e donne con bambini e poi disposti in cinque file. Successivamente, i comandanti tedeschi segnavano con il pollice ai reclusi la direzione in cui andare. Gli anziani e i malati andavano a destra, invece le persone sane, che potevano lavorare, andavano a sinistra.
Una volta inseriti nella parte destra o sinistra, venivano di nuovo disposti in cinque file e li facevano spogliare. Gli venivano sequestrati tutti i loro averi e, a chi le possedeva, anche eventuali protesi; i loro vestiti venivano perquisiti in cerca di oggetti preziosi e denaro e poi venivano ammucchiati e bruciati.
A quel tempo era pratica comune mettere le capsule d’oro al posto dei denti. Queste ultime venivano, perciò, strappate con le pinze, senza effettuare alcuna anestesia, direttamente all’arrivo al campo. Di seguito, ai detenuti venivano tagliati tutti i capelli.
Stanisław raccontò che la macchinetta che utilizzavano i nazisti per tagliare i capelli era talmente usurata, che a volte neanche tagliava i capelli, bensì strappava direttamente la pelle.
I detenuti venivano poi mandati alla cosiddetta “disinfestazione”, ossia venivano cosparsi di fenolo, un disinfettante per animali, impiegato quando essi, ad esempio, partorivano; i nazisti lo tenevano in una mangiatoia per maiali, in cui poi immergevano una specie di mocio, che non era altro che un bastone sul quale venivano avvolti alcuni vestiti dei prigionieri, e che passavano sui reclusi.
Dopo questa procedura veniva assegnato ad ogni prigioniero un numero, che veniva tatuato sul braccio con un ferro ardente impiegato normalmente per la marchiatura degli animali nelle fattorie.
Il mio bisnonno, Kowalski, era il numero 29668.
In seguito veniva data loro una camicia e un paio di pantaloni, senza badare alla taglia: bisognava accontentarsi di ciò che si riceveva.
Questo era ciò che accadde al mio bisnonno il primo giorno che arrivò ad Auschwitz.
Lui raccontò che seppe di questo nome soltanto dopo la guerra, perché quando entrò nel campo di concentramento e di sterminio non sapeva che si chiamasse così.
(fine prima puntata)

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